Honolulu Marathon by Sere&Ago
Volevamo scrivere ognuno il suo articolo, ma il saggio consiglio del nostro wedding-designer Gabriele ci ha giustamente indirizzato verso un articolo “a 4 mani”. Ci auguriamo possa piacervi.
(Sere) Questo scritto sembrerà una maratona e del resto lo è come lo è stato tutto il viaggio di questa settimana. Se penso a dove si trova Honolulu mi sembra quasi tutto un sogno…è un puntino in mezzo all’oceano Pacifico, sulle isole che si annoverano tra le più belle ed esotiche del pianeta. Se penso che si trovano dall’altra parte del mondo e che sono stata lì, non solo come turista ma anche in veste di runner per correre la loro amata maratona mi vengono i brividi. Quando capitava di raccontare di questa impresa non si poteva che rimanere stupiti, ma lo siamo stati ancora di più io e Agostino quando ci siamo trovati negli USA. C’è da dire che siamo stati fortunati nel trovare un’organizzazione oserei dire quasi perfetta di Terramia, che non solo si è curata di tutto ma ci ha anche omaggiato di una guida (Alejandra) professionale, umile, simpatica e molto esperta. Siamo partiti da Milano Linate martedi mattina alle 7 (sveglia alle 3.30!!) insieme ad altre 4 coppie Italiane diretti a San Francisco, dove abbiamo soggiornato 2 giorni: giusto il tempo di visitare i punti d’interesse e di fare un tour su e giù con il Cable Car per le famose strade della Città. Il tempo di innamorarsi di San Francisco ed era già ora di partire alla volta di Los Angeles per poi proseguire per Honolulu! Sapevamo che i voli sarebbero stati duri, sia per la durata sia per il fuso orario, ma l’arrivo alle Hawaii ci ha fatto scordare il freddo, le fatiche e siamo subito entrati nell’atmosfera della maratona hawaiana: accolti e incoronati con le collane di fiori e già si congratulavano con noi per essere dei maratoneti iscritti all’evento. Ogni angolo di aeroporto e di città mostrava l’icona della maratona e dalla moltitudine di persone (la maggior parte giapponesi) che si presentava con scarpe da running, intuiamo che la portata della “cosa” è paragonabile ad una gran festa nazionale. Una cena da “Bene Pesce” (locale con le bandierine italiane fuori, ma staff giapponese all’interno che diventerà una delle nostre tappe fisse) nel tentativo di trovare una buona pizza e cibo italiano ci fa subito incontrare le stranezze del posto: cappelli di Babbo Natale e addobbi Natalizi insieme all’aria condizionata, pochi americani e tanti asiatici, orari per mangiare “tanti ed eventuali”, le linguine che le chiamano linguini, il cappuccino diventa Frapuccino e la mancia nel conto prima di andare via. Il tempo di rimanere sconvolti dalle altre contraddizioni per le strade come macchinoni parcheggiati e poveri senzatetto a bordo strada, turisti di ogni genere sui marciapiedi e “signorine” agli angoli fino alla mattina e si va a dormire per essere pronti per l’indomani con il primo grosso appuntamento: il ritiro del pettorale!
(Ago) Il mio racconto delle Hawaii , confrontato con quello di Serena, sembrerà prevalentemente statistico. Del resto devo bilanciare un po’ la parte “romanzata” e senz’altro a qualcuno di voi interesserà anche la parte numerica. Degli orari di partenza vi ha già scritto mia moglie, della presenza italiana anche. Sinceramente mi aspettavo un po’ più di frequentazione tricolore per una manifestazione tanto pubblicizzata. Del resto la crisi si fa sentire anche nel settore running….E così si parte per gli USA, personalmente per la seconda volta, via Londra. 2 ore di volo subito, poi altre 11, sorvolando alpi, Lussemburgo, Groenlandia e Lago Michigam per arrivare a S.Francisco. Ci accoglie un meteo ostile, ma dopo 2 giorni in giro per la città sarà il sole a riaccompagnarci all’aeroporto per arrivare , con scalo nella città degli Angeli ( altre 2 ore di volo ) alle favolose isole scoperte dall’inglese Cook a metà strada tra America e Giappone. Si chiude con altre 5 ore e mezza di volo. Il clima è umido, forse troppo: mi rendo conto che forse correre una maratona con questo caldo non sarà una passeggiata. Il tempo di arrivare in centro, gustarsi l’ennesima versione di “italian-pizza” e via a recuperare un po’di sonno.
(Sere) Al mattino le strade pullulavano di podisti e non è stato difficile seguirli tra i grandi negozi e i centri commerciali, i parchi e i venditori ambulanti. Il villaggio maratona era immenso, al contrario del contenuto della borsa molto essenziale: pettorale, chip e tanta pubblicità “gratuita”. Nel girovagare per gli stands in cerca di gadget in omaggio (scarseggiavano anche quelli) acquistiamo qualche souvenir e nel tempo che rimane io mi concedo un massaggio di 10 minuti per ritornare in sesto dopo le ore di viaggio. Giriamo l’angolo e tra i banchi di prodotti di ogni genere (per lo più panacee giapponesi per dolori di ogni tipo) non possiamo fare a meno di segnare il nostro passaggio lasciando il nostro ricordo come 5 cascine, orgogliosi di firmare il “muro” della maratona con il nome della nostra associazione. Nel pomeriggio un po’ piovoso giriamo per le vie di China Town anch’essa contrastante con la sua essenzialità in confronto ai grossi grattacieli ed hotel del Waikiki Beach dove alloggiavamo. Alla vigilia della maratona ci riserviamo il tempo per una corsa al mattino (sveglia alle 5!) e sondiamo giusto il terreno per la maratona. Era buio alle 5.30 eppure le strade erano stracolme di podisti a scaldare le gambe per il giorno dopo. È bastata un’ora di corsa costeggiando l’Oceano per accorgerci di quanto sarebbe stato difficile correre con l’umidità ed il caldo, ma allo stesso tempo di quanto fosse affascinante correre e vedere le luci dell’alba mentre la città era già sveglia da un po’. La giornata prosegue con un’escursione nella Città di Honolulu e a Pearl Harbor per visitare i luoghi storici del posto che ha segnato la storia delle Hawaii e anche degli States. Al termine di queste gite rientriamo in albergo e dopo aver cercato di rimediare un pasto ci portiamo nella zona di consegna delle borse che si trovava in zona arrivo. Rimaneva poco tempo, non perché la giornata fosse più corta, ma perché l’indomani ci aspettava la sveglia alle 2.30 e ci riserviamo il tempo per cenare da quello che ormai era diventato il nostro amico “Bene Pesce”. Faccio un po’ fatica a cenare per l’orario e forse non sono abituata ai loro intrugli, per cui non sono riuscita a fare il “carico” di carboidrati come si conviene in queste occasioni (e credo di averne risentito un po’ in gara). La notte la trascorriamo quasi insonni, difficile dormire con lo sbalzo del fuso ed attendiamo la sveglia delle 2.30 …
(Ago) Ci si sente piccoli piccoli in questa zona del mondo. Piccoli in confronto all’oceano, piccoli su questi grandi aerei, piccoli sotto questi alberghi/grattacieli della zona turistica di Honolulu. Mangiare bene qui, per noi italiani, è impossibile. Così come è impossibile capire le loro leggi ( alcool vietato per strada o nei ristoranti all’aperto, ma negozi pieni di superalcolici…) e le loro usanze (mance ai ristoranti obbligatorie etc etc ). Ritiriamo il pettorale in questo villaggio maratona che personalmente non mi entusiasma. Tra giapponesi ed americani qui siamo proprio delle rarità. Ci si sente piccoli anche in questo….
(Sere) Colazione a base di Muffin e biscotti e siamo pronti ad indossare scarpe e pettorali. Alle 4 siamo già diretti insieme ai nostri “commilitoni” verso la partenza e dalle luci dei palazzi e dei lampioni sembrava già mattina. Inutile spiegare la densità di gente se gli iscritti erano 31000…ma siamo rimasti ancor più sorpresi dalle griglie, che andavano in base al tempo di percorrenza e dalla miscellanea di persone: dai panzoni americani, alle veterane giapponesi, dai runners in tutù a babba Natale, da Fred Flinston alla Zebra, dal top runner al runner a piedi nudi…insomma ce n’erano di ogni provenienza, di ogni età e per tutti i gusti. A pochi minuti dalla partenza una cantante Americana fa venire i brividi nel cantare senza musica prima l’inno americano e poi quello giapponese…ironia della sorte una maratona americana corsa per lo più da giapponesi: 2 popoli che solo poco più di 60 anni fa erano in conflitto a suon di attacchi a sorpresa come Pearl Harbor e bombe atomiche. Al termine dei loro inni io e Agostino intoniamo il nostro inno patriottico, suscitando l’attenzione dei nostri vicini giapponesi che ne rimangono allietati (per fortuna). Qualche altra battuta dello speaker, interrotta da un podista tedesco esaltato che chiede alla fidanza di sposarlo e poi ecco lo sparo tanto atteso.
(Ago) Non mi era mai capitato, nemmeno nelle mie più ardite follie ciclistiche, di alzarmi alle 2.30 per prendere parte a qualche gara. E’ una roba da matti. Ma quando la fanno 31mila persone ti senti quasi “normale”. L’immagine che ho più negli occhi della partenza sono i fuochi d’artificio, ma la cosa che più mi ha fatto venir la pelle d’oca è stata l’inno nazionale americano cantato unplugged da una solista: non fiatava una mosca e sembrava che il tempo si fosse fermato su quelle note. Poi lo sparo, coperto dai botti dei fuochi, e via per i 42,195 km che ci porteranno alla fine di quest’ultima fatica agonistica del 2012.
(Sere) All’inizio ci tocca camminare, data la folla; facciamo slalom tra chi si ferma a scattare le foto ai fuochi d’artificio che fanno breccia nel cielo scuro e ci accompagnano per il primo chilometro. Era buio ma il caldo si faceva già sentire; seguivo Agostino che come promesso mi faceva da pace-maker e per l’occasione aveva un palloncino a forma di cuore per non perderlo di vista. Nei primi chilometri tutti in centro abbiamo il tifo della gente e non mi accorgo delle gambe perché quello che più sentivo era la sete. I rifornimenti erano in media ogni 3 chilometri ed io per paura di disidratarmi e star male come in Madagascar, faccio il pieno di acqua e Gatorade ad ogni postazione. Dopo il 15° chilometro inizia una lunga salita per circa 3 chilometri. Eravamo al buio e la strada era segnata da un nastro giallo tenuto dai ragazzi che incitavano e ci facevano tenere il ritmo. Si sentiva il vento contrario ed il rumore dell’Oceano e non vedevo l’ora di vederlo. Dopo pochi chilometri si svolta negli stradoni di Honolulu ed inizia il sorgere del sole che culmina al nostro passaggio alla mezza. Da lì in poi inizia il calvario: vento contrario, le nausee per tutto quel bere, il caldo e l’umidità, per non parlare delle fiacche che facevano il loro ingresso. Perdevo terreno ma cercavo di spingere. Altri maratoneti vedevano il palloncino e credendo che Agostino fosse un Pace ci seguivano speranzosi…ma credo si siano accorti presto che non eravamo in linea con il tempo delle 4 ore che avevamo prefissato di fare. Guardavamo i top runners nel giro di ritorno ed invidiavo chi era già al giro di “boa”. Dal 26° si ritornava verso il centro ed il vento era a favore, ma questo non bastava. Crampi, fiacche, mal di pancia, caldo…era tutta una sofferenza e mi veniva da piangere…Agostino mi ha dato coraggio e mi ha spronata portandomi avanti chilometro dopo chilometro, lasciando fare a me l’andatura…dal 30° mi sono un po’ ripresa e nel vedere le ultime salite sapevamo che da lì in poi mancava poco. Passiamo in una zona residenziale e lì tanti americani riconoscono la nostra maglietta con scritto “Italia” e sono in tanti a tifare per noi e questo mi sprona a non mollare.
(Ago) la partenza è lenta, al limite del lentissimo. I giapponesi non perdono neanche questa occasione per fotografare tutto e costringono chi vuole correre, come me e Serena, a fare improbabili slalom per tenere il ritmo prefissatoci. Nonostante il “traffico” iniziale riusciamo comunque a tenere il nostro ritmo ed il tifo, per lo più giapponese, sembra riuscire nell’intento di farci smaltire fuso orario e stress da viaggio e forse riusciremo a portare a casa il personal best di Serena direttamente da Honolulu. Dopo la salita del 16/17° km noto che l’andatura di Serena tiene ma il viso comincia a tradire segni di debolezza. Temo che la preparazione delle ultime settimane sia stata per lei un po’ latente e sospetto che per arrivare all’arrivo ci sarà veramente da faticare. Incrociamo i top runner; il primo bianco è sesto a qualche minuto dalle prime gazzelle d’africa che anche in questa piccola parte del mondo dettano legge. Poi tanta gente comune che corre come noi. Il tifo è diminuito ma solo per la densità abitativa della zona, ma il clima, anche di chi ci incita, è sempre caldo. I km passano, la maschera di dolore di Serena è evidente. Evito di insistere troppo nel caricarla perché la vedo tesa. Allora stacco il palloncino e corro solo per il gusto di farcela insieme, ma manca ancora molto all’arrivo.
(Sere) Gli ultimi chilometri, dopo le salite, i suoni dei tamburi mi danno il ritmo sulle gambe e gli ultimi 2 km in discesa ci permettono di vedere l’Oceano sognato di notte, con i surfisti, con le villette mozzafiato hawaiane e sentiamo in lontananza l’eco della gente che applaude agli arrivati. Ultimo chilometro, manca poco e seppure non veda l’ora di arrivare ho un po’ di amaro in bocca. Godiamo nel passare tra chi ci saluta, chi ci fotografa e che ci spinge per l’ultimo tratto ed arriva quel traguardo…un traguardo arrivato in 4 ore e 18 minuti, ma arrivato troppo in fretta per me. In fretta perché volevo migliorare e non ci sono riuscita nonostante avessi l’aiuto di Agostino, perché volevo spingere e non riuscivo, perché era bellissimo quella vista di crateri, grattacieli e Oceano che avrei voluto tornare indietro e rifarla ancora. Prendiamo i nostri premi fatti di collana, medaglia e maglietta da Finisher ed io passo le ore a promettermi che questa lezione dovrà servirmi per il futuro. Dopo un giorno di mare e 30 ore di viaggio torniamo in Italia ed il sentire le gambe a posto mi fa pensare di quanto potrei ancora fare per migliorare ed il desiderio di correre ancora una maratona è ancora lì, nonostante le 2 appena fatte. Mi sono ripromessa di seguire di più i consigli preziosi di Agostino per puntare più in alto verso un’altra Maratona.
(Ago) Serena si ferma ad ogni ristoro, beve tantissimo, forse toppo, ed ogni volta per farla ripartire mi tocca sudare le classiche 7 canotte da podista. E’ visibilmente stremata, si fa piccola piccola per recuperare un ritmo ormai inutile, ma pian piano riusciamo a raggiungere gli ultimi km che, incredibilmente, volano. Chiedo a Serena di guardarsi intorno, come faccio spesso: ha il vizio di correre a testa bassa guardando l’asfalto che è lo stesso asfalto di Gerenzano, Cesano Maderno, Somma Lombardo o Milano. Ma qui siamo alle Hawaii , le ripeto, e forse vale la pena guardarsi intorno, apprezzare le bellezze del mondo, e, nella corsa come nella vita, guardare sempre avanti a testa alta, soprattutto quando non si ha niente da temere né dal passato né dal futuro. E allora troviamo la forza per arrivare a quest’ennesimo traguardo e gustarci gli ultimi 800 metri con un sorriso che speriamo di riportare qui tra qualche anno con tempi migliori e con qualche progetto in più realizzato..
Finisce così anche la mia 10ma maratona. Il caso vuole che anche la quinta l’avessi corsa negli USA (N.Y.2006) ed è bello, dopo i postumi di una gara, immaginarsi quale sarà il prossimo sparo che ci farà partire. A mente calda mi sarei iscritto subito a Pisa, la domenica successiva ,perché avevo voglia di correrne subito un’altra. Ma sarebbe stato uno sbaglio, perché è giusto prendersi del tempo per se stessi e per stare un po’ con la propria ,anche se primordiale, famiglia.
Il nostro 2012 agonistico si chiude così con 2 maratone chiuse in 15 giorni ed un anno fatto di mezze maratone ed altre gare più o meno importanti. Ma con la consapevolezza che i 40 metri più importanti del 2012 li abbiamo fatti l’8 settembre nella navata centrale della chiesa di Cislago. Lì abbiamo vinto entrambi.
Serena e Agostino