“Vedrai, vedrai non tornerai a correre prima di Novembre…”; “vedrai, vedrai quando non dormirai di notte!”…l’elenco di frasi come queste potrebbe continuare. Era quello che tanti, tra colleghi e conoscenti, mi dicevano quando parlando esprimevo il desiderio di tornare a correre e magari preparare qualche corsa autunnale una volta diventata mamma. In questi 9 mesi ho spesso sognato di correre sia di giorno che di notte, e siccome a piedi avevo il limitatore di velocità, potevo sentire il brivido della velocità soltanto nel nuoto. La mia ultima tapasciata da camminatrice è stata a Manera, per il semplice fatto che l’ultimo appuntamento a cui potevo partecipare (Lurago M.) diluviava. Era il 22 giugno e mancavano circa 3 settimane alla data presunta del parto. Avevo percorso quasi 14 Km e quando sono arrivata all’arrivo stavano premiando i gruppi. Il ristoro era ormai sgombro ed ero riuscita a racimolare qualche bicchiere d’acqua. Stavo quasi per andare via quando una volontaria nel versarmi l’acqua, non potendo ignorare il mio pancione, mi ha invitata sul palco delle premiazioni. La stretta di mano col sindaco e con gli organizzatori è stato l’atto finale di tutte le tapasciate da camminatrice e sebbene fosse difficile stimare il mio ritorno, di certo speravo che potesse avvenire presto. Ero consapevole che la vita da mamma sarebbe stata impegnativa e che la priorità sarebbe stata quella di dare le mie attenzione a quei teneri vagiti dalla culla. Ed è proprio qui il bello: se tanti pensano che la nascita di un bebè tolga la libertà a mamma e papà, credo proprio che si sbaglino. Forse siamo stati fortunati io e Agostino, o forse perché l’abbiamo tanto immaginato che l’arrivo di Anna rimane oggi la nostra gioia più grande. È vero i primi giorni non c’è stato né il giorno né la notte, non c’era orario e sembrava di vivere in un altro Stato con il fuso orario. Ma ritrovarsi tra le braccia la nostra piccola “ranocchietta” ripagava di tutte le ore di sonno mancate. Ed è stato così che dopo 10 giorni dal parto il primo a parlare è stato Agostino: “perché non esci a correre?”. Era un pomeriggio soleggiato ed in effetti era un giorno perfetto per ricominciare. Non ci ho pensato molto: ho allacciato le scarpe e seppure con un po’ di titubanza sono uscita. I primi passi mi sentivo un po’ impedita e sentivo la cicatrice del cesareo tirare un po’. Sapevo di dover essere prudente e così ho corso i miei primi 7 km alternandoli ad intervalli di cammino: non male per essere la prima uscita. E dopo qualche giorno è toccato il brivido della corsa mattutina. Avevo appena finito di allattare e nonostante fossi sveglia già da diverse ore non riuscivo a prendere sonno. “Che faccio?” Mi sono chiesta. Il sole stava sorgendo e sembrava uno spreco non approfittarne. L’aria era fresca, la temperatura perfetta e correndo mi sembrava di volare al punto che sono riuscita a tornare a casa in tempo per la colazione di Anna. 2 settimane di uscite e non poteva mancare il primo giro delle cascine: l’andatura era quella di una principiante, con varie soste per recuperare, ma per me era buono già così. Le prime settimane il pensiero era quello di migliorare più la tecnica della corsa (mio punto debole) e senza guardare tempo e chilometri mi sono fidata delle mie sensazioni. Pensavo che prima di vedere dei miglioramenti sarebbero trascorsi i mesi, ma la sorpresa è stata quando uscita dopo uscita si realizzava una scoperta: più correvo più sentivo le gambe sciolte e leggere. Il riscaldamento era un po’ lento ma poi qualche giorno fa ho dato un’altra svolta con la corsa su sterrato, sfruttando l’unico sentiero che parte poco distante da casa e porta nel parco pineta. L’abbiamo scoperto io e Agostino l’anno scorso quando andavamo in cerca di more per le nostre marmellate. Entrare nel bosco, oltre ad incontrare la frescura ed i profumi più genuini, è stato come correre sulle nuvole. Senza accorgermene i chilometri scorrevano ed i sali scendi erano quasi piacevoli sulle gambe, assaporando passo dopo passo il terreno morbido ed anche qualche pozza d’acqua. I benefici del mio passo si sono visti nell’uscita successiva quando ho varcato la soglia dei 10 km sfondando gli 11, al punto tale che mi sono detta: perché non tentare i 15 km a Morazzone? Sembrava un miraggio tornare a correre intorno a casa, figuriamoci partecipare alle tapasciate. Di questo devo ringraziare Agostino che è il primo a motivarmi e la sua collaborazione nel darmi il cambio con la piccola è stata fondamentale. Sabato sera sentivo l’ebbrezza del ritorno alla corsa vero e proprio e mi sentivo come alla vigilia degli appuntamenti più importanti. Al mattino ero già sveglia ancora prima del previsto ed in poco tempo la borsa era già pronta. Ho fatto in tempo perfino ad allattare la piccola Anna, ho salutato Agostino ed alle 7.15 ero al ritrovo. Ad aspettare c’era già il nostro caro amico “Sebba” e l’argomento principe delle chiacchierate era sui rimedi anti-colica e pro-cacca nei neonati. Così, tra scambi di opinione e aneddoti, arriva il resto della ciurma. Com’è stato strano essere lì con tutti a sole 6 settimane dal parto, senza i miei bastoncini da nordic walking e senza la mia pancia, ma al tempo stesso felice di misurarmi ancora nella corsa. Siamo partiti alla volta di Morazzone dividendoci in due macchine in base ai chilometri da percorrere ed arrivati a destinazione ci riuniamo al resto del gruppo. Le distanze dei percorsi erano 6-10-15 e 23 chilometri. Dopo aver convinto Gabriele Landoni a buttarci sui 15 km, mentre tutti gli altri avrebbero percorso il lungo, siamo partiti. Morazzone è la tapasciata del rientro dalle vacanze. In genere viene disputata i primi di settembre, ma quest’anno è stata anticipata. L’anno scorso eravamo in tanti e tutti la ricordiamo per essere stata la tapasciata dello zio Pippo, non solo per essere stato ospite di un’intervista alla radio ma soprattutto per aver fatto suo malgrado un lunghissimo, ripetendo 2 volte l’anello della deviazione dei 23 km.
Morazzone è sempre stata una tapasciata tra le mie preferite, perché gode di buona organizzazione e animazione con tanto di musica e speaker, il clima giusto per riprendere le corse domenicali dopo le vacanze estive. Quest’anno siamo partiti dall’oratorio affrontando subito una salita ed il nostro gruppetto si distingueva per le divise colorate di azzurro, al punto che si è sentita la voce al microfono che diceva: “sono partiti i ragazzi delle 5 cascine”. I primi km siamo stati quasi sempre compatti e per me è stata una soddisfazione stare al passo con gli altri anche se per poco. Dopo il primo ristoro, al 6° km infatti era impossibile per me riuscire a stargli dietro, ma li vedevo correre in lontananza; tuttavia poco importava perché orami eravamo nel bosco, nel mio pezzo preferito. Quest’anno probabilmente il tracciato è stato un po’ diverso: tanto asfalto all’inizio e poi tutto sterrato che io ho apprezzato molto, perchè non vedevo l’ora di tornare a solcare i sentieri, soprattutto affrontare le salite e le discese in mezzo a fango, radici e tanto verde. I tratti più belli sono stati quelli intorno ad un laghetto e l’ultima discesa dove mi sono letteralmente sbizzarrita a correre tra un sasso e l’altro. Gli ultimi km ovviamente sono stati tutti in salita e mi sembrava di fare la stessa fatica degli ultimi km di una maratona. Volevo camminare, ma ho tenuto perché ho pensato che se avessi mollato avrei mollato anche dopo…e poi pensavo anche che dovevo affrettarmi, perché sapevo che Anna era a casa ad aspettarmi per la poppata. Quando ho visto il cartello dell’ultimo km mi sembrava irreale e decisa ad andare avanti m’imbatto in una mamma che invita la figlia di 8 anni a correre più forte, ma a mio avviso dando il messaggio sbagliato con quel rimprovero “non vincerai mai la campestre con quel passo”!; mi auguro sia lontano da quello che spero un giorno di dire alla mia piccola Anna. Sognando su quest’ultima scena un futuro di salute con la corsa per me e per tutta la mia famiglia, ho dato l’ultimo colpo di reni sulla salita che riportava all’oratorio facendo il mio ingresso, ironia della sorte, accompagnata dalle note di Jon Bon Jovi “It’s my life”, una delle mie canzoni preferite. Mi sembrava l’arrivo trionfale di una maratona e mi sentivo contenta come una bambina, per aver ritrovato il passo e liberato la fantasia sognando tra i sentieri di portare con me nostra figlia. Quest’estate, quando con ammirazione guardavo i campionati europei di atletica leggera, sono rimasta folgorata dalla maratona sia maschile sia femminile. In particolare mi hanno colpita i nostri atleti, tutti maturi e con figli: mi sono ritrovata nelle parole di molti di loro, che hanno fatto della corsa qualcosa che va oltre la semplice pratica dello sport. Sono tanti i nostri atleti maratoneti venuti fuori dall’ignoto, che da amatori si sono trasformati in top runner partecipando alle maratone goliardiche, come Ruggero Pertile e la Straneo, conciliando famiglia lavoro e allenamenti. Non sarà di certo il mio caso, ma rimango stupita ogni giorno dal modo in cui io e Agostino riusciamo a coltivare ancora questa passione senza trascurare la famiglia, anzi immaginando di poter condividere le nostre corse con la piccola Anna, trasmettendogli uno stile di vita sano. Adesso che è diventata il mio motivo non solo per correre più veloce, mi rendo conto di quanto possa cambiare in meglio la vita allargando la famiglia e sfatando un triste mito che oggigiorno spaventa molti: per chi pensa che i figli rubino il tempo libero o per chi pensa di non avere mai tempo né per loro né per la corsa, basta sapere che Agostino sta già preparando le marone autunnali ed io sto puntando dritta verso la mezza maratona di busto, seguita da un trail autunnale. Sognando che un domani anche Anna sarà dei nostri e ci farà da pace maker nelle maratone, auguro che le 5 cascine crescano con tanti nuovi piccoli 5 cascinini.